Esiste un luogo preciso nella memoria di ognuno di noi dove affiora, con contorni appena sfumati nel tempo, una forma che d’improvviso ci appare, collegandoci ad un determinato luogo e momento. A quella prima immagine se ne sono sovrapposte altre con il tempo, ora scovate nelle sale di un museo o nelle pagine di un libro, ora inconsapevolmente cercate in un viaggio; così,
riscoprirne lo svettante profilo all’arrivo in un posto prima sconosciuto, significa ritrovare un punto di riferimento sicuro, sapere che li si sarebbe provato, aldilà delle distanze di spazio e di tempo ormai passate, l’originario sentimento di protezione e di rifugio. Un simbolo, dunque, un archetipo che ha esercitato lo stesso potere di suggestione che, in aggiunta ad ogni fatalità concreta, da sempre ha avuto sugli uomini, come forma dell’inaccessibile da esplorare e percorrere fino a raggiungere, al culmine, la luce e nello stesso tempo come luogo di aspirazioni, di ascensione protesa verso una conoscenza soprannaturale che spinge da sempre l’intuito dell’uomo.
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